Affidamento condiviso dei figli: il ruolo del consulente pedagogico

Affidamento condiviso dei figli: il ruolo del consulente pedagogico

In questo articolo la nostra pedagogista vi illustrerà il ruolo del consulente pedagogico nell’affidamento condiviso dei figli.

Nell’articolo precedente è stata affrontata la legge sul diritto alla bigenitorialità e sulle specifiche caratteristiche dell’affidamento condiviso dei figli.

Il consulente pedagogico può affiancare i genitori nel percorso di accompagnando alla separazione o divorzio aiutando la coppia genitoriale ad individuare strategie condivise e funzionali alla crescita dei figli.

Strategie, dunque, idonee per gestire il cambiamento e le modalità educative e comunicative da adottare nell’affidamento condiviso dei figli.

In questi casi l’intervento del consulente costituisce una particolare forma di mediazione del conflitto educativo che tocca sfere emotive molto profonde, in quanto la controversia riguarda i coniugi.

È proprio la difficoltà nella gestione della dimensione emotiva a rendere complessa questo tipo di mediazione dei conflitti.

Tutto ciò, però, è sicuramente meno invasivo e delicato per genitori e bambini rispetto all’iniziare un percorso di separazione giudiziale.

 

Il consulente pedagogico come mediatore nell’affidamento condiviso dei figli

 

Il consulente pedagogico assume proprio il ruolo di mediatore.

In quanto tale, egli, non deve sostituirsi ai genitori per individuare una soluzione al problema, bensì interessarsi al loro potenziamento e riconoscimento.

L’obiettivo della mediazione è quello di raggiungere una soluzione condivisa da entrambi i genitori, una soluzione reciprocamente accettabile e attenta ai bisogni educativi dei figli.

Il compito del consulente, dunque, è quello di accompagnare le parti al raggiungimento all’affidamento condiviso dei figli.

Per farlo deve possedere adeguati strumenti di colloquio e di comunicazione.

Egli utilizzerà questi strumenti in modo flessibile a seconda del contesto, della situazione, delle modalità relazionali della coppia.

Un approccio, dunque, sempre contestuale.

Il processo di mediazione si struttura indicativamente il 10-12 incontri che possono essere suddivisi in tre fasi:

  • Pre mediazione;
  • Negoziazione;
  • Finale di accordo.

Nella fase di pre mediazione avviene una presentazione ad entrambe le parti di cosa comporti il percorso di mediazione che hanno deciso di intraprendere.

In questa fase preliminare il consulente deve raccogliere, con domande strutturate, le informazioni sulla storia della coppia, sulla domanda effettiva.

Nella fase di negoziazione si entra in una fase caratterizzata da colloqui strutturati.

Si stabiliscono, cioè, i temi di cui discutere nei diversi incontri e si procede con l’individuazione dei bisogni di entrambe le parti ed in particolare dei figli.

Si ipotizzano soluzioni e si iniziano a definire possibili punti di accordo per fissare i termini dell’intesa.

Nella fase finale di accordo si stipulano gli accordi, sulla base di quanto emerso durante gli incontri per l’affidamento condiviso dei figli.

 

Affidamento condiviso dei figli: il ruolo del Pedagogista

 

In presenza di una conflittualità che limiti la capacità di gestire correttamente la relazione genitoriale, è necessario tutelare la bigenitorialità, ovvero l’interesse del minore ad avere pieno accesso ad entrambi i genitori.

Per tutelare l’interesse del minore può essere richiesto l’intervento di un Pedagogista per supportare i genitori nel delicato processo della separazione.

Il compito del Pedagogista è quello di supportare la crescita o lo sviluppo delle competenze genitoriali per il superamento delle disfunzionalità della relazione educativa con il minore.

Il Pedagogista affianca i genitori in un percorso educativo di trasformazione e di cambiamento.

L’intervento di una figura pedagogica, dunque, risulta estremamente funzionale e positiva per due motivi:

  • Responsabilizzare le figure genitoriali, affinché assumano coscienza in merito al loro ruolo e ai loro compiti educativi;
  • Ascoltare il minore coinvolto e tutelare il suo primario interesse.

Le Convenzioni internazionali e la legislazione interna hanno affermato, con decisione, il diritto della persona minore d’età a prendere parte, in prima persona, ai procedimenti di modifica della struttura familiare che lo vedono coinvolto, alla luce del suo diritto a essere ascoltato.

Ascoltare il minore è importante in tutti i procedimenti che lo riguardano, molto importante lo è nella delicata situazione di separazione.

In questo una grande attenzione deve essere riposta allo sviluppo psico-fisico e socio-relazionale dei minori.

Tale sviluppo vede il rischio di essere compromesso nel momento in cui costoro vengono implicati nel processo conflittuale inter-parentale.

Nel caso preciso in cui il figlio minore d’età sia parte attiva del meccanismo conflittuale, quest’ultimo necessita di forme di tutela specifiche.

È proprio qui che si inserisce la pedagogia, nel momento in cui è a rischio il benessere e lo sviluppo del minore coinvolto nel processo di separazione.

Nei casi di separazione, infatti, il pedagogista aiuta la coppia a comprendere e a risolvere il conflitto focalizzando l’attenzione sull’esclusivo interesse e benessere del minore.

Aiuta poi la coppia genitoriale a riflettere sul nuovo assetto famigliare ed individuare i diversi bisogni dei membri del nucleo in riferimento, ad esempio, a:

  • Come comunicare ai figli le scelte prese;
  • Gestire le visite garantendo continuità e stabilità;
  • Riflettere sulle necessità emerse dai figli;
  • Offrire uno spazio di ascolto e confronto verso una genitorialità collaborativa.

Il pedagogista, dunque, costituisce una risorsa vitale per affrontare con maggiore consapevolezza le difficoltà educative, relazionali e comunicative della coppia genitoriale nella fase della separazione e nella gestione del nuovo nucleo famigliare.

Ricordiamoci sempre che nonostante la separazione non si smette mai di essere una coppia genitoriale.

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Articolo di Giulia Piazza

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Bibliografia

Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

Come educare i figli ai social e Internet

Come educare i figli ai social e Internet

Oggi voglio parlarvi di un tema attualissimo: come educare i figli, data l’influenza dei nuovi media, dei social network e di Internet nella crescita, nello sviluppo e nell’educazione dei bambini 

In qualità di pedagogista, mi trovo ad interrogarmi sulle nuove sfide educative e nulla è più attuale di questa. Siamo ormai tutti consapevoli della grande diffusione e della grande influenza che i nuovi media hanno su ognuno di noi, anche su bambini e adolescenti. 

Come educare i figli sui nuovi media?

Con la parola media intendiamo tutte le nuove tecnologie: Internet, Smartphone, Social Network, Videogiochi, giochi on line, e così via. I media sono ormai presenti nella vita di ognuno di noi, grandi e piccini. Non possiamo e non dobbiamo eliminarli, evitarli o esserne spaventati. Quello che possiamo fare è imparare a conviverci, utilizzando tutte queste nuove tecnologie in modo educativo, critico, consapevole, positivo. 

E’ fondamentale per i genitori, così come per gli insegnanti o gli adulti che hanno a che fare con minori, conoscerlo in tutte le sue potenzialità ed essere pratici di alcuni aspetti, per poter educare i propri figli ad un uso consapevole di tutte le tecnologie. Ecco perché privacy, funzionamento di Facebook, educazione ai media e sicurezza informatica devono essere concetti che tutti i genitori con figli, bambini e adolescenti, dovrebbero conoscere e padroneggiare. 

Fondamentale, per raggiungere questo scopo, è conoscere la Media Education, ampiamente trattata in questo articolo che vi consiglio di leggere!  

Con Media Education, si intende un’attività di tipo didattico ed educativo finalizzata a sviluppare negli studenti la capacità di: 

  • Comprendere i diversi media e le varie tipologie di messaggi; 
  • Utilizzarli correttamente, saper interpretare in maniera critica il messaggio; 
  • Essere in grado di generare un messaggio e quindi usare in maniera propositiva i media. 

Ciò comporta la promozione di un ruolo attivo e di un atteggiamento critico negli studenti, con lo scopo di formarli alla necessaria competenza mediale. La Media Education è “esplosa” con la diffusione, su scala mondiale, di Internet e dei social media, ormai onnipresenti e indispensabili. 

Siamo tutti ormai consapevoli del fatto che Internet è uno strumento indispensabile, che non dobbiamo guardare con sospetto o con atteggiamenti di chiusura. Possiamo invece parlarne, conoscerlo e “imparare a conviverci” utilizzandolo in modo educativo, critico e consapevole. 

Pensare alla rete e al mondo virtuale come un ambiente da conoscere in tutte le potenzialità e rischi, per educare i propri figli ad un utilizzo consapevole. Conoscere, cioè, tutti quegli aspetti che riguardano la sicurezza informatica, la privacy, i videogiochi adatti all’età, i rischi dei social network. (inserire link a precedenti articoli forensics team).

Anche i videogiochi possono tranquillamente far parte della vita dei vostri figli se si conoscono i rischi e i pericoli e se vengono utilizzati in modo adeguato e consapevole. Non è lo strumento in sé ad essere il problema, ma il suo utilizzoIl problema può manifestarsi quando il videogioco assorbe completamente il bambino e arriva a sostituire i momenti dedicati allo studio, allo sport e alle relazioni sociali, creando isolamento. Se vostro figlio riesce a portare a termine tutti i compiti, fare sport, vedere gli amici, dedicarsi alle attività del tempo libero, non sarà un problema se si dedicherà ai videogiochi per un paio di ore al giorno, sempre facendo attenzione alla sua sicurezza. 

Alcuni consigli su come educare i figli su internet: la parola alla pedagogista

Non tutti i videogiochi sono uguali, non sono tutti rischiosi e pericolosi. Alcuni permettono anche di stimolare lo sviluppo di abilità cognitive, il ragionamento, la presa di decisioni e lo sviluppo degli obiettivi. Un utilizzo adeguato, infatti, può anche favorire tutta una serie di abilità importanti come: 

  • La risoluzione dei problemi;
  • L’attenzione prolungata; 
  • La capacità di concentrazione; 
  • La reattività. 

Molto importante, dunque, è conoscere le caratteristiche di ciascun videogioco prima di acquistarlo e conoscere il limite di età: fate molta attenzione! Parlate con i vostri figli, dite loro quali sono i rischi e i pericoli delle nuove tecnologie, dei social, dei videogiochi. Siate sempre sinceri con loro, capiranno e vi ascolteranno. Promuovete un dialogo positivo, chiedendo proprio a loro se conoscono i rischi e quali sono. Per fare questo, dovete avvicinarvi al loro mondo, stategli vicino, dialogate con loro, fate loro molte domande. Domande, mi raccomando, positive, interessate, non giudicanti o inquisitorie. Proponete anche di giocare insieme a loro, fatevi insegnare a giocare. Perché no, sarà molto divertente 😉 

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Articolo di Giulia Piazza

La figura genitoriale paterna

La figura genitoriale paterna

Domani è la festa del papà e vogliamo dedicare questo articolo a tutti i papà cercando di mostrare l’importantissimo ruolo educativo e pedagogico di tale figura genitoriale.

La figura genitoriale paterna, infatti, ha in sé un ruolo fondamentale nella crescita e nello sviluppo dei figli.

Nonostante ciò, a partire dagli anni ’60, la figura del padre, il suo ruolo e il modo di esercitare la funzione paterna, ha perso rilevanza rispetto alla maternità, sia a livello giuridico sia sociale.

Basti pensare alla normativa sull’affidamento dei figli nei casi di separazione.

La legge n. 54/2006 ha, infatti, capovolto il sistema e le prassi previgenti, introducendo un nuovo principio: il diritto alla bigenitorialità.

Con il termine bigenitorialità si intende la partecipazione attiva di entrambi i genitori nel progetto educativo di crescita e assistenza dei figli, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento della separazione.

I figli sono così affidati ad entrambi i genitori, e non esclusivamente ad uno di essi.

In passato, di norma il giudice affidava il figlio in via esclusiva a quello dei genitori (solitamente la madre) che meglio pareva essere in grado di seguirne il processo di sviluppo tenendolo presso di sé.

Con questa nuova legge il figlio non è più oggetto di spartizione, ma è soggetto del diritto di continuare a ricevere da entrambi i genitori affetto, cura, mantenimento, educazione ed istruzione, a prescindere dalla rottura dell’unità familiare.

Cambia così del tutto l’ottica dell’affidamento: l’affidamento condiviso deve essere preferito a quello esclusivo, salvo casi particolari lasciati alla discrezione del giudice.

Si cerca infatti di privilegiare quello condiviso in quanto permette al minore di mantenere un rapporto equilibrato e sereno con entrambi i genitori.

Inoltre si cerca di responsabilizzare al massimo entrambi i genitori, sugli aspetti relazionali ed economici, nell’esclusivo interesse del figlio.

In questo modo, la figura genitoriale paterna è valorizzata al pari della figura genitoriale materna ed è considerata vitale nella crescita dei figli.

Da qui nasce la necessità di riaffermare con forza l’importanza del ruolo paterno nel nostro contesto storico e sociale.

 

I codici educativi della figura genitoriale

In ambito psico pedagogico ci riferiamo all’esistenza di due distinti codici educativi: il codice educativo materno e il codice educativo paterno.

Ebbene, non si tratta di una distinzione di genere maschile o femminile, bensì si fa riferimento ad un diverso atteggiamento, a due modalità differenti, con cui si affrontano i processi che portano alla crescita e allo sviluppo dell’identità personale dei figli.

Il codice materno si riferisce alla cura, all’attenzione, alla protezione del bambino, alla soddisfazione e comprensione dei suoi bisogni, all’accudimento.

Nel primo anno di vita la prevalenza di questo tipo di codice è fondamentale.

All’inizio, infatti, il bambino ha bisogno di una base sicura da cui poi partire per scoprire il mondo circostante.

Man mano che cresce e si sviluppa, però, il bambino, soprattutto a partire dal terzo anno di vita, ha bisogno anche di essere sostenuto nel processo che porta all’autonomia.

In questo fondamentale è fornirgli sicurezza e, allo stesso tempo, autonomia.

E qui entra in gioco il codice paterno.

Porre regole, limiti, stimolare alla conquista dell’autonomia, dell’indipendenza e della socializzazione con il mondo esterno.

Entrambi i codici devono essere presenti per garantire ai bambini uno sviluppo equilibrato.

La capacità di cura è alla base di ogni ragionamento sull’educazione, così come è necessaria l’autorevolezza che legittima la funzione di guida del genitore.

Una base sicura che guida e orienta verso la crescita promuovendo il giusto equilibrio tra supporto e distacco.

Ogni figura genitoriale deve riuscire a mettere in campo entrambi i codici che sono alla base di una equilibrata relazione educativa.

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Articolo di Giulia Piazza

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BIBLIOGRAFIA

Fenzio F, (2018), Manuale di consulenza pedagogica in ambito familiare, giuridico e scolastico, YouCan Print

Moro A. C, (2014), Manuale di diritto minorile, Zanichelli Bologna

L’approccio pedagogico: parte 2

L’approccio pedagogico: parte 2

Nel precedente articolo abbiamo introdotto il colloquio educativo e il suo approccio pedagogico specificando le sue caratteristiche.

Ora approfondiamo invece gli strumenti di comunicazione e l’approccio pedagogico funzionale, vediamo insieme di cosa si tratta.

Con il termine “strumento comunicativo” si intende una tecnica, un principio o una modalità espressive utilizzata intenzionalmente dal consulente per far emergere e veicolare dei contenuti all’interno della dimensione relazionale con il fine di raggiungere il cambiamento educativo prospettato.

Gli strumenti comunicativi sono alla base dell’approccio pedagogico utilizzato dal consulente nella relazione educativa e di aiuto con l’utente.

La comunicazione è alla base di ogni scambio e di ogni relazione.

Attraverso la comunicazione, infatti, non si ha semplicemente uno scambio di informazioni bensì si crea un’esperienza relazionale tra i diversi soggetti coinvolti.

Il processo di comunicazione, però, è influenzato da diversi fattori che causano una distorsione tra il messaggio inviato dall’emittente e il messaggio ricevuto dal ricevente.

Può essere influenzato, ad esempio, dai seguenti aspetti:

  • Percezione ed emozioni;
  • Pregiudizi;
  • Sistema di valori;
  • Vissuti personali;
  • Contesto di riferimento;
  • Stili comunicativi personali;
  • Aspettative.

L’approccio pedagogico della consulenza trae ispirazione da alcuni aspetti della psicologia umanistica di Carl Rogers nel corso del 1900.

L’ambito di studio privilegiato da Rogers è quello della comunicazione terapeutica e didattica ma alcuni aspetti possono essere considerati strumenti fondamentali per tutte le relazioni di aiuto.

In particolare, la valorizzazione dell’empatia e delle non direttività della comunicazione sono condivisibili e in parte utilizzabili anche nella consulenza pedagogica.

Nella visione rogersiana i presupposti fondamentali della relazione di aiuto sono costituiti dalla:

  • Genuinità, autenticità e trasparenza del consulente;
  • Considerazione positiva e incondizionata del cliente che viene accettato, rispettato, compreso e supportato;
  • Empatia ovvero la capacità di comprendere in modo reale i sentimenti dell’altra persona.

Inoltre, l’attitudine all’ascolto e alla gestione del silenzio per una reale comunicazione centrata sul cliente è una competenza molto importante del consulente.

Soprattutto nella prima fase del colloquio di consulenza, ovvero nella fase di accoglienza del cliente dove si comprende la sua esigenza e il suo bisogno, è importante favorire un clima di fiducia e positività, affinché il cliente possa sentirsi a suo agio.

Il consulente deve essere in grado di “ascoltare” ponendosi in una posizione non giudicante e di evitare “errori comunicativi” che potrebbero poi costituire delle barriere al raggiungimento dell’obiettivo della comunicazione.

Gordon (cit. in Fenzio 2018) ha individuato dodici categorie di risposta non funzionali alla relazione di aiuto, vediamole insieme:

  1. Dare ordini, comandare: espressioni come “bisogna che tu…” “tu devi…” potrebbero generare timore, resistenza, senso di controllo. Non sono dunque funzionali ad una comunicazione efficace e aperta;
  2. Minacciare, avvisare, mettere in guardia: espressioni come “è meglio per te…” “se non farai così…” possono provocare paura, risentimento, rabbia e, dunque, chiusura e rifiuto;
  3. Fare la predica, rimproverare: espressioni come “tu dovresti…” “non dovresti…” potrebbero incrementare il senso di sfiducia nella persona;
  4. Offrire soluzioni e consigli può impedire al soggetto di riflettere in prima persona sul suo problema e sulla sua soluzione. La persona, infatti, deve essere stimolata e spronata a riflettere attivamente sul suo problema e trovare soluzioni in autonomia, con il sostegno del consulente;
  5. Argomentare, persuadere con la logica può portare il soggetto a sentirsi inadeguato e a trincerarsi dietro posizioni difensive;
  6. Giudicare e criticare: frasi giudicanti possono provocare timori, rabbia e ostilità, e non apertura e fiducia;
  7. Ridicolizzare, etichettare con diversi aggettivi può influire sull’immagine di sé e far sentire il soggetto svalutato e non accettato;
  8. Interpretare, analizzare, diagnosticare con frasi semplicistiche può portare la persona a sentirsi frustrata e non compresa;
  9. Fare apprezzamenti e manifestare compiacimenti può essere visto come un tentativo manipolatorio, orientato solo a incoraggiare i comportamenti desiderati;
  10. Rassicurare e consolare: frasi come “non temere…” e “vedrai che andrà meglio…” possono portare il soggetto a sentirsi incompreso nei suoi bisogni profondi;
  11. Contestare, indagare, mettere in dubbio, oppure adottare un atteggiamento inquisitorio può generare ansia e fastidi causando la chiusura della comunicazione;
  12. Minimizzare il problema o l’emozione può dare la sensazione alla persona di non essere compresa o di avere poca importanza. In questo modo non si facilita sicuramente l’apertura della persona al dialogo e alla fiducia.

L’approccio pedagogico del consulente, dunque, deve essere attento alla comunicazione verbale e non verbale della persona, non giudicante, aperto al dialogo e al confronto, cercando sempre di instaurare un clima di fiducia stimolando e spronando la persona all’attivazione delle proprie risorse personali e all’autonomia.

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Articolo di Giulia Piazza

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BIBLIOGRAFIA

Fenzio F, Manuale di consulenza pedagogica in ambito familiare, giuridico e scolastico, 2018, Youcan Print

L’approccio pedagogico: parte 1

L’approccio pedagogico: parte 1

Nel precedente articolo abbiamo affrontato la consulenza pedagogica, in questo articolo invece affrontiamo l’approccio pedagogico, partendo dalla fase di colloquio pedagogico nella consulenza.

 

Approccio pedagogico: il colloquio con il pedagogista

Il termine “colloquio” significa “parlare assieme”, significato implicito nell’etimologia, ed evoca di per sé sia la centralità della parola che quella della relazione che si genera tra le persone.

All’interno dell’approccio pedagogico il colloquio assume un’importanza fondamentale, insieme alle relazioni che sono alla base del processo comunicativo nel quale avviene lo scambio dei contenuti.

Se analizziamo il modello comunicativo dove il messaggio viene inviato dall’emittente al ricevente non è unidirezionale ma è caratterizzato dal concetto di feedback.

Il feedback, infatti, garantisce la circolarità del processo e dalla consapevolezza che il contesto, ovvero la cornice all’interno della quale avviene lo scambio comunicativo, può modificare le interazioni e lo scambio.

Durante il colloquio il pedagogista non si limita a trasmettere nozioni, ricette preconfezionate o pillole pedagogiche ed educative.
Lo scopo dell’approccio pedagogico è infatti quello di entrare in relazione con il cliente, monitorare lo scambio reciproco e veicolare contenuti al fine di raggiungere uno scopo.

Ciò suggerisce l’idea di corresponsabilità, ovvero la consapevolezza che, affinché ci sia il cambiamento prospettato, l’impegno deve essere di entrambe le parti, sia da quella del consulente che della persona.

La persona, infatti, in realtà è la vera protagonista della dimensione educativa oggetto dell’approccio pedagogico.

Egli, seguendo il percorso individuato durante la consulenza, si mette in gioco in prima persona, investe energie e impegno affinché vi sia il cambiamento desiderato e condiviso insieme durante il percorso pedagogico.

Durante i colloqui il consulente guida la persona in un percorso nel quale entrambi si impegnano per svelare disfunzioni, elaborare e mettere in atto strategie volte al superamento del disagio.

L’obiettivo dell’approccio pedagogico è quello di fornire consigli e indicazioni osservando e suggerendo percorsi di cambiamento.

La relazione tra consulente e cliente deve avere le seguenti caratteristiche:

  • Asimmetria: il cliente riconosce al consulente competenze educative specifiche;
  • Intenzionalità: il consulente è consapevole e responsabile del processo;
  • Responsabilità direzionale: il consulente offre la propria lettura e suggerisce l’introduzione di cambiamenti in funzione degli obiettivi;
  • Accoglienza: il consulente accoglie, supporta e sostiene e, allo stesso tempo, offre prescrizioni e direzioni da intraprendere;
  • Congedo: la consulenza si conclude con il congedo.

Approccio pedagogico: in che modo si svolge la consulenza? Secondo quali percorsi? Con quali strumenti?

Innanzitutto occorre specificare che il pedagogista opera in diversi contesti e con diverse utenze, ponendosi obiettivi che possono variare in relazione alla richiesta di aiuto.

Lo strumento principale dell’approccio pedagogico è sicuramente il dialogo, inteso come scambio comunicativo, e l’ascolto attivo.

L’ascolto attivo domina soprattutto i primi colloqui e consente di comprendere il tipo di intervento da porre in essere.

La prima fase del colloquio pedagogico, infatti, è proprio quella di anamnesi e di comprensione della situazione iniziale e del bisogno specifico della persona.

Sarà dunque caratterizzata da domande mirate volte all’individuazione del bisogno e da un grande ascolto attivo per comprendere la reale problematica.

Possiamo suddividere il colloquio in quattro fasi principali:

  1. Prima fase: accoglienza del cliente, definizione del problema e del bisogno specifico;
  2. Seconda fase: anamnesi generale;
  3. Terza fase: anamnesi della relazione educativa, presa in carico delle disfunzionalità e introduzione di strategie risolutive;
  4. Quarta fase: restituzione finale e congedo.

Nel prossimo articolo approfondiremo gli strumenti di comunicazione e l’approccio pedagogico funzionale per creare un clima di fiducia caratterizzato da ascolto attivo e dialogo.

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Articolo di Giulia Piazza

La consulenza pedagogica

La consulenza pedagogica

Oggi voglio parlarvi della consulenza pedagogica e del ruolo del consulente pedagogico specificandone caratteristiche e ambiti di intervento.
La sfida che si pone alla consulenza pedagogica è la capacità di sintonizzarsi con i bisogni delle persone, di leggerli sotto le domande.

Questo è il servizio più prezioso che si possa offrire a che si rivolge alla consulenza.

Ciò avviene molto prima di parlare di soluzioni, prendersi in carico la domanda e il bisogno del cliente contribuisce a costruire un patto di fiducia e di sostegno che caratterizzerà poi l’intero percorso consulenziale.

Si tratta di accompagnare con professionalità la persona in un percorso di (ri)scoperta delle proprie risorse e potenzialità.

La consulenza pedagogica si attiva in relazione all’emergere di un bisogno di tipo educativo.

Sfatiamo subito un mito: la consulenza pedagogica non si rivolge unicamente ai bambini e ai loro genitori, bensì può rivolgersi ai servizi per l’infanzia, alle scuole, alle famiglie, ma anche alle aziende, agli enti e alle istituzioni in riferimento ad un bisogno educativo e formativo.

La pedagogia, infatti, si rivolge alla persona lungo tutto l’arco della vita, dall’infanzia all’età adulta fino all’età senile, con naturalmente bisogni differenti tra loro.

La consulenza, dunque, caratterizza molteplici contesti di vita, di apprendimento, di lavoro.
Possiamo affermare che la consulenza pedagogica abita molteplici territori e si costruisce con una vasta gamma di persone.

Può essere pedagogico il colloquio che si svolge con la responsabile di una scuola dell’infanzia, con il dirigente scolastico, con il titolare di un’azienda, con una famiglia, con un genitore, con un educatore.

 

Quali elementi rendono un incontro configurabile come consulenza pedagogica?

Per prima cosa, perché sono processi che si sviluppano fra persone rispetto a questioni percepite come problematiche.

Il compito del consulente è proprio quello di accompagnare il cliente nell’operazione di costruzione del problema a partire da tale situazione problematica vissuta, cioè, come una criticità.

Il secondo elemento in comune riguarda il fatto di “aiutare ad aiutarsi”.

L’obiettivo principale della consulenza pedagogico, infatti, è quello di accompagnare l’individuo nella formulazione di un progetto educativo che risponda ai bisogni propri e del contesto, personale e professionale, in cui è inserito.

Un terzo filo che connette le diverse consulenze pedagogiche riguarda la concezione delle persone come depositari e portatori di risorse che possono e devono essere attivate o riattivate per superare e attraversare le difficoltà.

Il consulente pedagogico non fornisce consigli o informazioni, non risponde in modo immediato a bisogni, bensì si occupa delle “energie trasformative” del soggetto.

È un processo di crescita e condivisione dove il consulente sostiene il soggetto nella comprensione, riscoperta e trasformazione delle proprie risorse personali.

Uno dei compiti più delicati della consulenza è, infatti, proprio quello della definizione comune e condivisa del bisogno o del problema, al di là della domanda esplicita.

La consulenza pedagogica viene intesa come aiuto a elaborare un progetto, partendo sempre dai bisogni e dal problema, da costruire al soggetto e ai soggetti che sono coinvolti.

Si allestisce così un ambiente di apprendimento reciproco in cui poter accompagnare il cliente in una riscoperta e a una riorganizzazione delle proprie risorse.

Infine, un quarto elemento imprescindibile della consulenza è il fatto di essere una pratica di secondo livello, cioè destinata a chi a propria volta educa, sia nei contesti naturali sia in quelli professionali.

Per concludere possiamo così riassumere gli aspetti fondamentali della consulenza pedagogica:

  • Obiettivo di consapevolezza di sé e di autorealizzazione personale;
  • Orientamento al futuro;
  • Riscoperta delle risorse personali;
  • Intervento sulla difficoltà momentanea e non sulla patologia;
  • Dimensione globale della persona;
  • Intervento sul progetto di vita;
  • Intervento di tipo preventivo, promozionale, di empowerment delle risorse personali;
  • Utilizzo di strumenti pedagogici specifici.

 

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Articolo di Giulia Piazza

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BIBLIOGRAFIA

Negri S, “la consulenza pedagogica”, Carocci Editor

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