Per comprendere come rispondere alla violenza psicologica è necessario riallacciarsi al nostro articolo precedente e prendere consapevolezza dei rischi legati ad un trauma o un comportamento violento.

Abbiamo citato Freud in merito alla capacità di resistere o meno ai traumi, con le sue spiegazioni circa le frustrazioni legate alla prima infanzia e al rapporto con i genitori.

Ormai è accertata l’importanza dell’ambiente di appartenenza nel predisporre al trauma: viene dimostrato da diversi studiosi che le carenze dei genitori nel rasserenare velocemente gli stati d’animo e le emozioni negative del bambino sono centrali.

Spiegare come rispondere alla violenza psicologica significa avere chiaro che la cura e l’educazione del proprio figlio fin dai primi mesi di vita rappresenta il segreto per stimolare naturalmente tutte quelle risorse psicologiche legate alla resistenza.

Il bambino che ha potuto crescere protetto ma anche sviluppando le capacità di autonomia e indipendenza, accanto ai propri genitori, avrà implementato maggiori risorse personali per capire come rispondere alla violenza psicologica.

Come rispondere alla violenza psicologica emotivamente

Le sensazioni di insicurezza e la percezione di pericolo rappresenta qualcosa di naturale e sano che caratterizza quasi ciascuno di noi: queste sensazioni di ansia (positiva) sono un modo inconsapevole del nostro corpo e della nostra mente di metterci in guardia da tutti i pericoli che potremmo incontrare e potrebbero minacciare la nostra vita.

Avere paura e provare ansia va bene!

È stato dimostrato che un livello di frustrazione ottimale promuove lo sviluppo sano e funzionale nel bambino, che può imparare a riconoscere le situazioni pericolose e apprendere ad affrontarle con energia e positività, potendo prepararsi alle sfide della vita adulta.

Stimolare il bambino a nuove esperienze, cibi nuovi, situazioni sfidanti, rimanendo sempre al suo fianco, rappresenta una vera e propria ricetta di ingredienti su come rispondere alla violenza psicologica.

È dunque chiarito che, nella vita di un bambino piccolo, una frustrazione, se non colta immediatamente e gestita, può rappresentare un vero e proprio trauma esperienziale, con ripercussioni importanti nella vita adulta.

Ma che cosa accade nella nostra mente quando subiamo un atto violento? Quali meccanismi si attivano, automaticamente, per dirci come rispondere alla violenza psicologica, nell’immediato?

Come rispondere alla violenza psicologica: meccanismi veloci

Vediamo alcuni meccanismi che la nostra mente mette in atto per affrontare la minaccia di un trauma:

  • Stern, nel 1988, teorizza il meccanismo della ripetizione.

È stata evidenziata una tendenza a riepilogare e a ripetere le nostre esperienze traumatiche in successive esperienze della nostra vita, anche in maniera compulsiva. Già Anna Freud lo citava sottolineando la nostra tendenza automatica a difenderci da ciò che in passato ci è andato storto: è così che, ripetendo il trauma, ci diamo una seconda possibilità di affrontarlo e risolverlo.

 

  • Il meccanismo della rimozione, viene spiegato come la predisposizione mentale ad eliminare dalla nostra memoria un fatto traumatico per sopperire alle sofferenze e come aiuto su come rispondere alla violenza psicologica.

Una violenza subita o un trauma che viene totalmente rimosso dalla memoria può riaffiorare sotto diverse forme, come insicurezze psicologiche e pensieri intrusivi.

L’importanza di metabolizzare e affrontare le difficoltà della vita per poter andare avanti è davvero centrale per essere individui risolti.

La psicologia stessa dimostra che non è possibile nascondere sotto il tappeto le nostre sofferenze senza affrontarle, poiché torneranno a tormentarci.

 

  • Il meccanismo dell’isolamento emotivo, a differenza della dissociazione, consta di un altro meccanismo della nostra psiche, che si attiva per difenderci dai traumi.

Si può attivare in seguito ad una sofferenza emotiva importante, come per fronteggiare un lutto.

Il silenzio emotivo, a sua volta, non rappresenta una valida strategia per salvarsi e curarsi dal dolore, bensì rappresenta ancora una maschera di negazione.

 

  • La somatizzazione del corpo, è descritta da Kramer nel 1990 come una strategia difensiva del corpo per togliere attenzione e consapevolezza verso i dolori della mente.

Un meccanismo che il nostro corpo metterebbe in atto dunque per difenderci da traumi subiti nell’infanzia, anche causati, ad esempio, anche da separazioni e divorzi dei genitori.

Aiutare gli adolescenti a resistere

Possiamo consigliare ai ragazzi come rispondere alla violenza psicologica, in seguito ad un trauma derivante dalla rottura della serenità famigliare, alla morte o all’allontanamento di un genitore o in seguito ad una infanzia turbolenta?

Levine nel 1990 ci racconta come si trasforma l’idealizzazione della figura di mamma e papà nella mente di un adolescente: gli scontri, la crescita, l’effettiva violenza assistita subita, portano a rendersi conto di una nuova verità.

Il genitore perde la sua aurea di forza, protezione e fiducia in cui il giovane aveva sperato e immaginato, il quale si imbatte nei limiti delle proprie figure genitoriali, limiti affettivi, comunicativi, psicologici.

Questo non è per forza un accadimento traumatico ma che fa parte della vita adulta, senza separarci dall’amore che ci lega ai nostri genitori.

Accettare i cambiamenti ed una nuova visione fa parte del naturale ciclo della vita e dei naturali cambiamenti di ruolo nella famiglia, ci consente di spostarci serenamente da una posizione di figlio a quella di genitore e tutore, a nostra volta, del nostro genitore divenuto anziano.

Quando però tali consapevolezze avvengono in maniera brusca, sulla spinta di violenze fisiche e abusi da parte dei genitori sui figli, ecco che questi vivono questa violenza come la rottura di un patto di fiducia che li sgretola.

Dunque che fare?

Per noi consulenti ed esperti in materie criminologiche, la parola d’ordine è fare prevenzione.

In questo senso, è importante raccontare ai ragazzi e alle ragazze l’importanza di parlare insieme agli adulti, condividere, sensibilizzare alla presenza, renderli consapevoli dei rischi legati alla vittimizzazione ma anche legati all’incapacità di esprimere i propri sentimenti negativi e di chiedere aiuto.

Ancora più di parlare è importante sapere ascoltare e osservare.

Troppo spesso i giovani non sono in grado di aprirsi o non lo fanno perché non si sentono accettati o si ribellano con modalità fredde o aggressive perché convinti di non essere compresi.

È quindi fondamentale ascoltare e dare la nostra disponibilità al sostegno, essere presenti fisicamente, emotivamente e come supporto alla crescita è la base per renderli sicuri ed evitargli ulteriori traumi nella vita adulta.

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Articolo di Martina Petrucciani

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Per approfondire:

https://www.google.it/books/edition/Normalit%C3%A0_e_patologia_del_bambino_Valut/OdxQ_GmsFZoC?hl=it&gbpv=1&dq=anna+freud+google+libri&printsec=frontcover 

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