Nell’articolo precedente ho trattato importanti teorie di sociologia della devianza e della criminalità, lasciando i lettori sulle definizioni di “anomia” ad opera di Emile Durkheim.

Riprendendo questo autore francese, filosofo, interessato alla pedagogia negli anni di fine Ottocento, il reato viene definito come “naturale” poiché non esiste una società senza regole e ciascuna di esse presenta al proprio interno soggetti devianti.

Citando Durkheim, se la società fosse esente dalla criminalità sarebbe un fatto impossibile.

Il crimine, secondo questa prospettiva in sociologia della devianza e della criminalità, è un fatto del tutto normale.

Nelle sue pubblicazioni, l’autore e studioso francese sottolinea l’importanza di ritenere il crimine e il reato come fattore centrale della salute pubblica, parte integrante di ogni società sana, un fenomeno inevitabile, che caratterizza la costituzione dell’uomo.

Dai suoi studi di sociologia della devianza e della criminalità, Durkheim presenta il reato come un fatto increscioso, causato dalla cattiveria incorreggibile dell’uomo.

Ogni società, tuttavia, è diversa da un’altra: ciò che viene definito come fenomeno criminoso può differire a seconda della cultura presente in quella specifica società.

 

L’utilità sociale del crimine in sociologia della devianza e della criminalità

Contrariamente alle idee correnti, il criminale non appare più come un essere radicalmente non-socievole, una specie di elemento parassita, di corpo estraneo […] egli è invece un agente regolare della vita sociale”.

Secondo lo studioso, il crimine serve alla società per dare una spinta ai fenomeni di cambiamento; in sociologia della devianza e criminalita questo viene studiato come un punto fondamentale e innovativo: il crimine garantisce il progresso.

In questo senso, ogni società che debba ripristinare l’ordine dopo un evento criminoso o prevenirlo o cambiare un assetto societario perché il fatto non si ripresenti, andrebbe incontro ad un mutamento positivo.

Nello studio della società, Durkheim teorizza come il passaggio da una società tradizionale ad una industriale abbia modificato i bisogni e gli obiettivi dei consociati, indirizzando e mutando anche la natura del comportamento criminale.

Per il buon funzionamento della società moderna è necessario, per lo studioso, strutturare un sistema di regole, norme e valori, che regolano il comportamento e ne prevengono gli atteggiamenti devianti.

 

La nascita dei gruppi delinquenti

È tra la fine del Novecento e inizio Duemila che Albert Cohen si prende carico di studiare, tramite l’osservazione della propria realtà circostante, il comportamento dei ragazzi diventati delinquenti in gruppo.

Secondo questo filone di sociologia della devianza e criminalita, il comportamento non è studiato soggettivamente, ovvero in capo al singolo individuo, bensì le ragioni del crimine e dei comportamenti devianti sono studiati in interazione con un gruppo.

Caratteri e influenza della gang giovanile

Albert Cohen teorizza il concetto di sottocultura deviante, riferendosi a una forma di vita diventata tipica in certi gruppi della società, sottolineando ovviamente che ciascun gruppo sociale ha una cultura specifica propria e, all’interno di questo, sono presenti sottogruppi sociali con una propria sottocultura.

Citando lo studioso:

 “Questi gruppi sono le bande di ragazzi che prosperano nella forma più vistosa entro i “quartieri della malavita” dei nostri maggiori centri urbani. Col passare degli anni alcuni dei membri di queste bande divengono normali cittadini […], altri diventano criminali professionali e adulti, ma la tradizione delinquente è mantenuta dalle generazioni seguenti

In sociologia della devianza e criminalita, la sottocultura delinquente intesa come baby gang giovanile, è:

  • Gratuita, maligna, distruttiva;
  • Un modello di vita che si oppone a quelli tipici e rispettabili della società adulta, con cui è in conflitto;
  • In contrasto con progetti di lungo periodo, con il futuro;
  • In contrasto con le attività di studio, impegnative, vincolanti;
  • Contro ogni costrizione;
  • In difesa dell’autonomia del gruppo stesso dalle incursioni esterne;
  • Chiusa all’esterno, le relazioni interne sono strette e si impongono violentemente;
  • Ostile, ribelle.

Mass media e sociologia del crimine

In un articolo precedente abbiamo parlato di Merton e della sua teoria sull’influenza e sulla responsabilità della società sui comportamenti criminali, introducendo la teoria dell’etichettamento sociale del crimine e del reo.

È Stanley Cohen a proseguire questo lavoro e arricchire le teorie di sociologia della devianza e della criminalità, spiegando e studiando il ruolo svolto dai mass media nella società moderna.

Secondo l’autore, il deviante subirebbe un’etichettamento da parte della comunità di appartenenza, a sua volta influenzata dai mezzi di comunicazione di massa.

Quando un soggetto deve prendere una decisione, molte sono le variabili cui si poggia: tra esse vi sono alcune influenze interne alla società ma esterne al gruppo che riguardano il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa, i quali operano un’influenza diretta sulle percezioni di rischio e di paura individuali.

In questo senso, il rischio è che la società individui alcuni gruppi specifici, indicati dai mass media come devianti e li etichetti individuandoli come capri espiatori.

Le teorie di sociologia della devianza e criminalita vanno sempre più nella direzione di individuare una concausa al comportamento sbagliato e di ricordare alla società la propria responsabilità nel proteggere e supportato tutti i cittadini.

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Articolo di Martina Petrucciani

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BIBLIOGRAFIA

Durkeim E. Le regole del metodo sociologico, Edizioni Comunità, Torino

Cohen A, Ragazzi delinquenti. Una penetrante analisi sociologica della “cultura” della gang”, Feltrinelli, Milano.

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