I mille volti della violenza fisica e psicologica in una società che si evolve: come scovare vittime e carnefici?

Nel 2021, nel corso del secondo anno della crisi pandemica che sta cambiando drasticamente le nostre abitudini più semplici, parlare di violenza fisica e psicologica è quantomai necessario.

È fondamentale, innanzitutto, mettersi d’accordo sui fondamenti del discorso: cosa si intende per violenza? Fino a che punto picchiare un bambino può essere considerato un valido metodo per insegnare la disciplina? È vero che “al giorno d’oggi non si può più dire nulla” per non essere linciati dai paladini del politically correct? Ma soprattutto, cos’hanno in comune queste domande?

La risposta a questa e ad altre cento domande è da millenni una, e una sola: la violenza.

Le ragioni dietro la violenza: uno strumento efficace dall’alba dei tempi

La violenza insegna a tacere, a stare al proprio posto, a dimenticare le preoccupazioni quotidiane, a sfogare la frustrazione, a temere il più forte: proprio come animali nella giungla.

Possiamo ben dire quanto poco ci distinguiamo dal resto della fauna, considerando che il “progresso” che apportiamo alla società in cui viviamo non è altro che un’alternativa al rincorrerci nelle praterie cercando di mangiarci a vicenda. Ridotta all’osso, infatti, la dinamica della violenza fisica e psicologica, anche la più efferata, anche la più strategicamente pianificata, comporta come risultato principale il determinarsi di un rapporto tra Forte e Debole, dove il Forte prevale ed il Debole perisce.

Uno strumento viene in nostro soccorso: la conoscenza.

Sapere di cosa si parla, in cosa si esplicitano la violenza fisica e psicologica, è un’arma a nostro favore, uno strumento che bisogna imparare a maneggiare per capire quando ci sono i taciti segnali di una richiesta d’aiuto, ma anche quando un’azione – per alcuni completamente innocua – per qualcuno comporta danni permanenti, un trauma indelebile.

Cosa si intende per violenza?

Violenza è qualsiasi atto che comporti coercizione, limitazione della volontà altrui; è un modo subdolo per determinare qualcuno ad agire contro la sua volontà.

Per esempio, forzare la mano dell’anziano che sta redigendo testamento per “convincerlo” a lasciarti tutti i suoi averi, è considerato dall’ordinamento italiano come violenza fisica.

La violenza fisica si ravvisa ovunque, radicata come parte di numerosi costrutti sociali: dal padre e padrone che la usa per affermare la sua superiorità gerarchica all’interno dell’ambito familiare, al ragazzino di strada che la vede come unica opzione per guadagnarsi il rispetto dei suoi pari.

Come sappiamo, però, la parte fondamentale nel processo di risoluzione di un problema è proprio la sua individuazione e, in molti casi, quest’operazione è tutt’altro che semplice.

Violenza psicologica: in cosa consiste? Come individuarla?

Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo riconosciuto in altre persone quell’atteggiamento sommesso, quello sguardo schivo, quel carattere remissivo tipico in chi ha ricevuto una buona dose di “disciplina” da bambino. O meglio, l’abbiamo avuto davanti agli occhi: ma l’abbiamo visto?

Il fatto è che determinati segnali sono spesso trascurati perché meno palesi di un occhio nero.

La maggioranza degli atti di violenza psicologica non lascia tracce sulla pelle da parte dell’aggressore, pur riuscendo spesso a mutare l’essenza di una persona cambiandone le abitudini, inibendola nei modi più diversi, sradicandone l’autostima, instillando in lei il seme dell’insicurezza.

“Sei un buono a nulla”, “a nessuno importa di te”, “non puoi uscire vestita così”.

Hai già sentito queste formule? Ne sei stato l’oggetto?

Ecco. Questa è violenza psicologica.

Per quanto meno evidente di un attacco fisico, il risultato è quantomai devastante, soprattutto se il comportamento abusivo è protratto nel tempo.

Infatti, per quanto ci consideriamo creature fin troppo complesse, in certe situazioni le nostre logiche sono incredibilmente semplici: ripeti una frase a qualcuno tutti i giorni e prima o poi quella persona interiorizzerà il concetto, e si comporterà in conseguenza al messaggio trasmesso.

 

Violenza fisica e psicologica: cosa fare per spezzare il ciclo?

Fortunatamente, sembra che il mondo di cui facciamo parte sia sempre più proteso alla sensibilizzazione in tema di violenza, fornendo i mezzi per riconoscere i segnali della violenza e la possibilità di intervenire. Perché in questi casi non può prevalere il “vivi e lascia vivere”, perché la solidarietà sancita come principio fondamentale nella nostra Costituzione deve necessariamente esplicitarsi in azione: non girarsi dall’altra parte è spesso il primo passo per salvare delle vite.

E sì, poco importa che la mano autrice di una morte sia quella del carnefice o quella della vittima stessa, se il motivo del tragico gesto è rinvenibile nelle azioni violente subite.

Sono ancora all’ordine del giorno i suicidi in giovanissima età a causa del bullismo, ora facilitato dai mezzi di comunicazione istantanea disponibili nell’era digitale; se uno volesse provare a capire meglio di cosa si tratta, si renderebbe conto quanto sia terribilmente semplice raggiungere le persone per il solo gusto di demolirne l’autostima. A prescindere dalla persona oggetto delle vessazioni, a prescindere dal suo operato: è facile. Troppo facile.

Viene ora usato il termine “leoni da tastiera”, per definire soggetti che, nascondendosi dietro identità digitali, vomitano odio su persone che faccia a faccia non sarebbero neanche in grado di affrontare. Ma perché lo fanno?

Credo che, in generale, il bullismo si possa definire come una mera valvola di sfogo di persone in disequilibrio, annoiate, frustrate, amareggiate.

Ma questa spiegazione sarebbe troppo riduttiva e semplicistica, perché spesso il violento (che consumi violenza fisica o psicologica) agisce in conseguenza al bisogno di spurgare la violenza subita a sua volta, perpetrando un ciclo di abusi che può essere deleterio sia per le persone direttamente coinvolte che per tutte quelle loro vicine o in qualche modo legate.

Ecco dunque che si presenta la possibilità di spezzare il ciclo di abusi: riconoscere i segnali, cercare aiuto terapeutico e sostegno emotivo, convincersi che nessuno è condannato ad essere in un certo modo a causa dei suoi trascorsi, ma che, invece, il cambiamento è sempre possibile.

Soprattutto, in un mondo che ci spinge ad essere sempre più individualisti e diffidenti gli uni verso gli altri, considerandoci più come avversari e nemici che come compagni e alleati, tendere una mano a chi è in difficoltà, prestarsi ad ascoltare e agire in supporto di una “vittima” renderà il mondo un posto migliore, dove le vittime smettono di essere tali, diventando motore di un cambiamento permanente.

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Articolo di Valentina Grazzi

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