Quello del suicidio non è per nulla un tema semplice da affrontare. Per chi ha conosciuto e vissuto storie legate al rischio suicidario è chiaro il suo significato emotivo. Può rappresentare una ferita aperta per sempre.
Esperti di psicologia e psicoterapia sono vicini a chi ha conosciuto il rischio suicidario e possono sicuramente fornire un valido sostegno alla sua risoluzione; aiutano la persona in difficoltà a comprendere il significato profondo legato al suicidio di sé o di una persona cara, forniscono strumenti per affrontare le difficoltà e andare avanti con la propria vita.
Genesi del rischio suicidario
La letteratura scientifica in tema di suicidio ci riporta a Durkheim ed alla sua teoria sociologica.
Come riportati nelle Raccomandazioni per la Prevenzione delle condotte suicidarie, disposto dalla Regione Emilia Romagna:
“Il suicidio è un comportamento plurideterminato; spesso è associato ad aspetti psicopatologici che, se riconosciuti e trattati, possono determinare una significativa diminuzione del rischio suicidario.”
Diversi studi e ricerche hanno evidenziato alcuni fattori di rischio principali riconducibili alla condotta suicidaria:
1. Il disturbo psichico.
In una elevata percentuale dei casi di suicidio è diagnosticabile un disturbo psicologico o psichiatrico, che di solito è depressione; sentimenti di profonda e prolungata depressione, anche post partum, ma anche patologie bipolari, allucinatorie, nelle fasi maniacali, ad esempio.
2. Il trauma.
Il trauma è sicuramente legato al rischio suicidario, e non per forza deve essere un trauma recente. La sofferenza, infatti, può riferirsi anche ad un trauma legato al proprio passato, una violenza, una perdita che non si è riuscita a superare o che la nostra memoria ha riportato ai nostri ricordi.
3. Uso/abuso di sostanze.
Alcool e droghe possono avere un effetto accelerante, sicuramente rappresentano un fattore di rischio legato alla diminuzione della percezione di pericolosità di determinate condotte, che possono sfociare in un vero e proprio rischio suicidario.
4. Gravi malattie fisiche e sindromi dolorose.
Malattie improvvise, gravi, autoimmuni, psicosomatiche molto invalidanti, dolori fisici persistenti, problemi di salute ripetitivi, cronici, molto dolorosi e senza cure, che obbligano a ricorrere a esami invasivi e visite mediche continue, può rappresentare un fattore di rischio.
Una persona malata che soffre fisicamente può percepire altresì isolamento dal proprio contesto familiare e sociale, stanchezza per la propria situazione, fatica a fare le cose di tutti i giorni, soprattutto nell’impossibilità di svolgere i compiti più semplici, preferendo piano piano ritirarsi.
La stanchezza fisica, anche nelle persone più resilienti, può accompagnarsi ad una stanchezza mentale che rappresenta un serio fattore di rischio suicidario.
Proteggere, amare, curare emotivamente le persone malate è importante poiché esse non si percepiscano come un peso nella “regolare” vita degli altri. Il desiderio di farla finita aumenta con la percezione di non appartenere, di pesare, di essere sacrificabile.
5. Problemi di isolamento – anche legati alla propria identità sessuale.
Bullismo, cyberbullismo, percepirsi come diversi, non accettati, giudicati, non accolti nelle proprie scelte di vita, nella propria identità sessuale, e non solo, può rappresentare, soprattutto per i più giovani, un ostacolo reale alla felicità.
Autolesionismo e rischio suicidario nei giovani
Nell’infanzia, episodi protratti nel tempo di bullismo e isolamento sociale, ma anche deprivazioni di attenzioni da parte dei genitori, espone ai fattori di rischio per atti di autolesionismo.
Gli atti di autolesionismo possono predire il rischio suicidario ed aprire gli occhi agli adulti, per mettere in atto dei comportamenti di prevenzione e protezione.
Gli elementi scatenanti la volontà di esporsi al rischio suicidario nei giovani possono trovarsi nel lutto di familiari, in esposizioni precoci alla violenza, in estremo isolamento sociale legato ad episodi di bullismo violenza psicologica e cyberbullismo.
L’atto di tagliarsi, ad esempio, è conosciuto e riconosciuto da parte degli esperti come una richiesta di aiuto e un indizio esteriore alla sofferenza che i ragazzi stanno patendo.
Prendere seriamente in considerazione di aiutare e supportare i ragazzi in questa fase può salvargli la vita, non solo dal rischio suicidario bensì anche da traumi e problemi nell’età adulta.
Un giovane, infatti, può sentire dentro di sé quella sensazione di solitudine, inadeguatezza, differenza dai pari e dagli amici, scarsità di possibilità e attenzioni, trascuratezza, può provare sentimenti di colpa, vergogna, rabbia, panico, disperazione per una situazione che sta vivendo.
La vicinanza a gruppi o simboli che parlino di suicidio, poi, può amplificare la sensazione di coraggio e determinazione a commettere il fatto.
“Il suicidio rappresenta un atto di fuga da un disagio insopportabile, tagliarsi potrebbe rappresentare un tentativo di rigenerazione emotiva.”
Forse un po’ come la fenice… che risorge dalle proprie ceneri!
“L’autolesione servirebbe ad “interrompere” “stati di morte emotiva”.”
Le risorse di resistenza psicologica sono differenti in ciascun soggetto esposto al rischio suicidario; gli elementi che possiamo definire, in sintesi, come campanelli d’allarme da tenere monitorati, sono:
- Sentimenti di disperazione;
- Percezione di non poter avere un futuro, incapacità di costruire;
- Perdita della capacità di reagire.
Il suicidio viene allora visto come l’unica via d’uscita da una condizione senza speranza.
Rischio suicidario nelle carceri e nelle dipendenze
Diverse ricerche provano che l’abuso di alcool e droghe si correli frequentemente al rischio suicidario.
Si stima che il 25-33% degli adolescenti che compiono suicidio hanno una storia di abuso di sostanze.
Si può sostenere che l’uso di sostanze aumenti la probabilità legata al suicidio, di tre volte, rispetto la popolazione sana di riferimento ed inoltre che il desiderio di morire aumenti drammaticamente appena dopo l’assunzione di droghe (Brent et al., 1997).
Goffman, sociologo e ricercatore, nel 1969, teorizza assunti legati alle istituzioni totali, sottolineando i rischi legati alla detenzione in carcere, ambiente inflessibile e rigido, che induce a sentimenti di frustrazione, assenza di norme, condizioni psichiatriche anche gravi.
Le teorie criminologiche evidenziano quella che viene definita con il termine prisonizzazione, o sindrome di prisonizzazione, come un processo psicologico che i detenuti sviluppano, legata all’alienazione del Sé e a creare una identità del detenuto comune.
Prisonizzazione e istituzione sociale sono fattori di rischio legati al rischio suicidario, analizzate assieme a differenti variabili che ne conseguono.
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Da monologo del padre, per Alice.
“Alice non era solo questo. Non era solo una persona sofferente, era anche entusiasta– è stata la sua ancora di salvezza finché è bastato – E’ stata anche male… Anche.. non solo. La sua vita non si riduce a questo.”
(Zerocalcare, Strappare lungo i bordi.)
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Articolo di Martina Petrucciani
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BIBLIOGRAFIA
Il Suicidio e la sua prevenzione. A cura di Roberto Tatarelli e Maurizio Pompili. Ed. Giovanni Fioriti Editore s.r.l. Roma, 2008.
Caglio F., Piotti A., 2007; Gonin D., 1994