Cos’è una perizia informatica: parte 1

Cos’è una perizia informatica: parte 1

Nel corso dei precedenti articoli abbiamo visto come l’agenzia investigativa possa fornire supporto ad un’azienda che si trovi nella condizione di licenziare un dipendente, nel corso di questo articolo e del successivo, invece, vedremo insieme cos’è una perizia informatica!

Scrivere un rapporto dettagliato ed esaustivo sulle indagini può essere determinante per l’istruzione di un processo. Il rapporto deve essere sufficientemente dettagliato da reggere alle obiezioni della difesa o al timore che siano stati trascurati o non analizzati con cura dei file importanti.

Il rapporto deve inoltre essere chiaro: anche una persona priva di conoscenze tecniche deve essere in grado di comprendere i concetti importanti e il valore delle prove presentate.

In questo articolo vedremo come documentare correttamente l’indagine informatica e darne rendiconto.

 

Cos’è una perizia informatica

La finalità del rapporto di un investigatore di Computer Forensics è specificare quanto ha scoperto, non fornire un’opinione o convincere una giuria della colpevolezza di un sospettato.

Il rapporto è una enunciazione di fatti, sarà il tribunale poi a dover decidere in merito alla colpevolezza o meno dell’accusato. Un investigatore non deve solo presentare quanto ha scoperto ma indicare con tutti i dettagli i processi dell’indagine, che devono includere sempre anche gli eventuali errori commessi o i casi in cui un esame è fallito.

Durante l’indagine, infatti, un investigatore deve usare più strumenti. Questi strumenti devono essere stati sottoposti a test di calibrazione da parte di tecnici di laboratorio e l’investigatore deve sapere tutto ciò che hanno scoperto, compresi i tassi di errore noti. A questo proposito l’investigatore deve annotare le limitazioni dell’esame, per esempio le aree dei supporti di memoria che sono risultate illeggibili, che possono essere settori negativi su un disco rigido, blocchi non accessibili, file che non è stato possibile aprire, o altri dati non accessibili. Essere proattivi può evitare possibili domande imbarazzanti future!

Ovviamente, date e ore sono di estrema importanza. L’investigatore deve sempre annotare l’ora corrente e la fonte da cui è stata ricavata (per esempio, iPhone11, servizio cellulare, ora impostata automaticamente in base alla localizzazione). Devono essere annotate le ore di sistema per tutti i dispositivi esaminati, e confrontate anche con l’ora dell’investigatore.

Ogni dettaglio nel rapporto deve essere preciso dal punto di vista tecnico, ma il rapporto deve essere anche comprensibile, così che anche le persone con limitate conoscenze tecniche possano capire che cosa ha fatto l’investigatore e cosa è stato scoperto. Gli informatici parlano un linguaggio diverso con i loro colleghi, esattamente come accade anche per altre categorie professionali.

Il rapporto quindi non deve contenere acronimi, a meno che non vengano spiegati in precedenza ne rapporto stesso, e non si devono usare abbreviazioni o termini tecnici senza darne una spiegazione. Per esempio, anziché dire “abbiamo fatto un hash del disco”, si può scrivere “abbiamo usato un algoritmo MD5 per creare un codice alfanumerico, cioè un hash, che identifica in modo univoco il disco di quel computer. Creare un hash MD5 è un’operazione standard per gli investigatori di Computer Forensics, per essere sicuri che la copia su cui lavorano non sia stata modificata rispetto al supporto originale sequestrato dal computer del sospettato”.

Si può anche includere una sezione distinta per le definizioni tecniche. Se è stata condotta un’indagine prudente e attenta e pubblicate i fatti relativi al caso, non ci dovrebbe essere nulla di cui preoccuparsi.

Occorre ricordare che l’investigatore ha il dover di essere imparziale, corretto nei confronti dell’accusa come della difesa.

Perizia informatica: come redigere un rapporto

Non deve esistere alcuna ambiguità in quanto viene affermato nel rapporto. Sarebbe consigliabile a tal fine chiedere a qualcun altro di rileggere il rapporto per verificare l’accuratezza e possibili incoerenze, per identificare punti confusi e stabilire se una persona che non abbia formazione tecnica possa comprenderlo. Alla fine, in teoria, il rapporto dovrebbe essere abbastanza dettagliato perché qualcuno, sulla sua scorta, possa ricreare la medesima analisi e recuperare gli stessi risultati.

Vale la pena soffermarci sull’uso delle rappresentazioni grafiche. Una rappresentazione grafica spesso è molto più efficace della parola scritta: quello che si dice spesso, che un’immagine vale più di mille parole, in fondo è vero. Per esempio, un foglio di calcolo con i tabulati delle chiamate è molto meno efficace di un grafico che mostri un’immagine del sospettato e le linee di collegamento verso i contatti con cui ha comunicato più spesso, fra cui potrebbero esserci eventuali complici o la vittima. Anche una cronologia grafica degli eventi è più efficace di un semplice elenco.

Analogamente, il grafico degli amici nella rete di social network Facebook è più comprensibile di un elenco di nomi. Inoltre, con l’uso di mappe è possibile ricavare dai metadati di un file i movimenti di una persona, compresa la sua presenza in un determinato luogo. Molti strumenti di analisi dei ripetitori cellulari offrono questo tipo di funzionalità di mappatura per l’attività dei telefoni cellulari.

Per quanto riguarda la strutturazione del rapporto, i rapporti investigativi possono essere diversi l’uno dall’altro, tuttavia un buon modo di strutturarli, a parere di chi scrive, è il seguente:

  • Copertina;
  • Indice;
  • Executive Summary;
  • Biografia;
  • Obiettivi dell’indagine;
  • Metodologia utilizzata;
  • Supporti elettronici esaminati;
  • Risultati dell’esame;
  • Dettagli dell’indagine collegati al caso;
  • Allegati/Appendici;
  • Conclusioni.

Nel prossimo articolo esamineremo ciascuna sezione singolarmente e i contenuti più appropriati da un punto di vista di forma e di sostanza.

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Articolo di Samuela Bolgan

Licenziare un dipendente: il ruolo dell’agenzia investigativa. Parte 2

Licenziare un dipendente: il ruolo dell’agenzia investigativa. Parte 2

Nel corso del precedente articolo abbiamo parlato di licenziare un dipendente usufruendo del supporto di un investigatore privato. Nel corso di questo articolo andremo a svolgere un ulteriore approfondimento fornendo anche l’analisi di case studies.

Le potenzialità della sinergia tra agente investigativo e investigatore informatico ben si può esemplificare nel caso, ad esempio, di dover fugare o corroborare un sospetto su di un dipendente della propria azienda che potenzialmente intraprenda una seconda attività lavorativa.

In questi casi particolarmente utile ai fini dell’investigatore è sicuramente la grande diffusione dei social network, che rappresentano una straordinaria fonte di informazioni.

L’accesso a siti come Facebook è ormai onnipresente; inoltre, gli utenti possono scattare foto con i loro smartphone e caricarle nel social network nel giro di pochi secondi. Tali fotografie possono contenere al loro interno un tag di geolocalizzazione, allorquando questo servizio fosse attivato e permettere così l’identificazione della posizione del soggetto al momento dello scatto.

Un tag di geolocalizzazione fa parte dei metadati dell’immagine e indica latitudine e longitudine del luogo in cui l’immagine è stata ottenuta. Dati di geolocalizzazione possono essere associati a molte applicazioni, fra cui Instagram, YouTube, e Twitter. Siti come Please Rob Me usano i dati dei social network per stabilire dove è stata una persona e dove si trova in un dato momento. Creepy consente ad un investigatore di stabilire la posizione di un utente sulla base dei dati di geolocalizzazione ricavati da Twitter. (Segnalo che quest’ultima applicazione non viene aggiornata da un pò).

Fondamentale, quando si fornisce supprto ad un’azienda che ha intenzione di licenziare un dipendente, è l’investigazione dei vari social network di tipo professionale quali Linkedin, Xing, Spoke tra gli altri, nonché un’analisi delle piattaforme di vendita online di prodotti e servizi.

Ritengo fondamentale un breve cenno alla questione della liceità dei controlli effettuati dal datore di lavoro, per permettere al lettore di meglio cogliere come l’attività dell’investigatore informatico non si colloca all’interno di questa fattispecie di azioni, non rappresentando di fatto alcuna forma di controllo sul dipendente, come si evincerà dai casi di studio riportati di seguito.

La sopraccitata questione è da anni ormai dibattuta sia in considerazione del numero sempre crescente di dispositivi e servizi a disposizione degli utenti che consentono tecnicamente ampie possibilità di monitoraggio, sia per le numerose tipologie di illeciti civili e penali che attraverso l’uso delle strumentazioni informatiche è possibile contestare. Tra queste ultime ricordiamo la violazione del dovere di diligenza dei lavoratori, l’ingiuria, la diffamazione, la violazione del diritto d’autore, la commissione di reati informatici in generale e così via.

Nel contesto di tale disciplina, inoltre, ricordo la sussistenza, in capo al datore di lavoro, di un potere di carattere direttivo (2094 c.c.) e di un dovere, in capo al lavoratore, di diligenza (2104 c.c.), potendo derivare dal primo l’esercizio di un’attività di verifica dell’ottemperanza agli standard richiesti – naturalmente nel rispetto degli altri diritti in campo. Tali controlli non possono essere infatti attuati in maniera indiscriminata: è necessario tutelare i lavoratori interessati da eventuali trattamenti illeciti di dati da parte del datore di lavoro, in quanto il rispetto delle esigenze di tutela aziendale non può legittimare la soppressione dei diritti fondamentali dei dipendenti.

Sotto un profilo giuridico si deve considerare che ad oggi non esiste una normativa specifica che disciplini la possibilità o meno di navigare in Internet da parte del dipendente e le regole di comportamento alle quali quest’ultimo è tenuto a conformarsi, né sono individuati nettamente dalla legge i confini specifici dei poteri di controllo concessi al datore di lavoro; occorre dunque valutare le diverse regolamentazioni applicabili e i loro limiti.

Da punto di vista generale, le normative essenziali da tenere in considerazione nell’analisi della disciplina dei controlli in ambito giuslavoristico sono:

  • Il GDPR Regolamento Generale (come integrato dalle previsioni nazionali di cui al d.lgs. 196/2003 aggiornato al d.lgs. 101/2018) che disciplina le corrette modalità di trattamento dei dati personali delle persone fisiche, categoria generale che comprende anche i lavoratori;
  • La legge 300 del 1970, ovvero lo Statuto dei Lavoratori (in particolare gli artt  4 e 8).

Dal punto di vista specifico delle attività di investigazioni online sui dipendenti, basandosi su informazioni aperte e liberamente accessibili, esse non rientrano in un tale inquadramento giuridico, potendo così fornire un quantitativo potenzialmente assai ampio di informazioni utili al datore.

Al fine di rendere immediatamente apprezzabile quanto sopra esposto, presentiamo qui di seguito due casi recentemente giunti al tavolo del nostro studio in cui il quesito del cliente riguardava specificamente l’investigazione di eventuali attività secondarie e/o concorrenti di un dipendente dell’azienda.

 

Licenziare un dipendente: Case Study 1

Una nota azienda operante nel settore della ristorazione nutriva il sospetto che una delle proprie dipendenti, al di fuori dall’orario lavorativo, svolgesse un’attività di produzione e vendita a privati dei medesimi prodotti venduti dall’azienda stessa. Si trattava dunque di un danno non solo di immagine, bensì, cosa più importante, di un danno economico ingente, laddove la dipendente affiliava a sè i clienti dell’azienda per poi rivendere loro i medesimi prodotti ad un costo inferiore e con transazioni non tracciabili.

Preliminarmente l’investigazione informatica ha rivelato effettivamente l’esistenza di un canale privato di vendita, non solo, è stato possibile riscontrare che la dipendente vendeva i prodotti anche ad un’azienda concorrente.

In seconda battuta, l’attività dell’investigazione privata sul campo ha confermato quanto trovato durante la prima fase da remoto, fornendo le evidenze necessarie per convalidare il sospetto e dunque dare modo all’azienda di licenziare un dipendente.

Per la dipendente non c’è stata alcuna possibilità di confutazione rispetto alle prove raccolte.

 

Licenziare un dipendente: Case Study 2

Il dipendente di una grossa azienda da un anno si ammalava il lunedì mattina e guariva il venerdì sera per poi riammalarsi il lunedì successivo. Questo curioso pattern di malattia durava da un anno e alle visite mediche domiciliari il dipendente si era sempre fatto trovare. Logorato da questa situazione, il titolare dell’azienda si è rivolto a noi per trovare una soluzione.

È stata compiuta dapprima una investigazione online, mediante la quale è stato possibile effettivamente riscontrare non solo che il dipendente portava avanti una seconda attività online, ma anche che lo stesso si recava presso talunti incontri di gruppo con i soci della seconda attività lavorativa.

In seconda battuta, l’attività sul campo dell’investigatore privato, guidato ed informato dalle risultanze informatiche, ha potuto suffragare con evidenze fattuali quanto rilevato mediante l’indagine da remoto.

In questo secondo caso è stato possibile mettere in opera un vero e proprio “pedinamento online” della persona oggetto di indagine, pedissequamente confermato dal “pedinamento sul campo” dell’investigatore privato.

Il nostro approfondimento su come licenziare un dipendente finisce qui, ma se sei interessato alla tematica dei pedinamenti ti consiglio di non perderti il nostro prossimo articolo, dove parleremo di “pedinamento di soggetti”, sul campo e online.

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Articolo di Samuela Bolgan

Licenziare un dipendente: il ruolo dell’agenzia investigativa – Parte 1

Licenziare un dipendente: il ruolo dell’agenzia investigativa – Parte 1

Non sempre la gestione di un dipendente è cosa facile, soprattutto nei casi in cui si giunge a quello che potrebbe essere il termine di un rapporto lavorativo e si ha quindi l’intenzione di licenziare un dipendente.  Penso che gestire e formare una persona cercando di trasmettergli la nostra passione e i nostri valori sia la parte più difficile dell’essere imprenditori e titolari di un’azienda.

Se già non è semplice abitualmente, ci sono poi situazioni – e persone – che rendono tutto ancora più complesso.
Sarà capitato un po’ a tutti, almeno una volta, di dover richiamare un dipendente per una condotta non conforme con le procedure o le politiche aziendali. I motivi possono essere diversi. Ci sono casi in cui è possibile ricostruire un rapporto di fiducia e altri in cui questo non lo è più.

 

Licenziare un dipendente: cosa sapere

Sappiamo bene che non sempre è semplice gestire le difficoltà che possono emergere in azienda. Ma se vi dicessi che non solo ci sono professionisti in grado di aiutarvi e sostenervi in questi particolari casi ma che si potrebbe agire in prevenzione? L’investigatore privato è uno di questi e attraverso una strategia condivisa con lo studio legale può esservi di grande aiuto, anche nel caso in cui voleste licenziare un dipendente!

Facciamo però prima una premessa.
La possibilità per l’agenzia investigativa di operare in ambito aziendale è regolamentata dall’articolo 5 del Decreto Ministeriale 269 del 2010.

Tale tipologia di attività è

“richiesta dal titolare d’azienda ovvero dal legale rappresentante o da procuratori speciali a ciò delegati o da enti giuridici pubblici e privati volta a risolvere questioni afferenti la propria attività aziendale, richiesta anche per la tutela di un diritto in sede giudiziaria, che possono riguardare, tra l’altro: azioni illecite da parte del prestatore di lavoro, infedeltà professionale, tutela del patrimonio scientifico e tecnologico, tutela di marchi e brevetti, concorrenza sleale, contraffazione di prodotti”.

Quindi, a poter dare l’incarico ad un’agenzia investigativa non è soltanto il privato ma anche il titolare o il legale rappresentante di un’azienda al fine di tutelare un diritto in un’eventuale sede giudiziaria.

In particolare, l’agenzia investigativa potrà essere di supporto all’azienda in due modi:

  • Preventivamente;
  • Al verificarsi del problema e, quindi, in una fase successiva.

Anche in azienda agire in prevenzione è possibile e non solo al fine di scongiurare l’insorgere di problematiche collegate ai dipendenti ma anche ai fornitori e ai clienti. Che dire poi della verifica sulla reputazione aziendale che risulta essere sempre più importante e ci distingue durante la scelta che il cliente effettua tra noi e il nostro competitor?

Può l’azienda rivolgersi ad un’agenzia investigativa per licenziare un dipendente?

Chiedere un accertamento ad un’agenzia investigativa al fine di comprendere se, ad esempio, un proprio dipendente si approfitta dei frequenti periodi di malattia o dei permessi riconosciuti dalla legge 104 è del tutto lecito.

Lo stesso garante per il trattamento dei dati personali, infatti, ha dichiarato che, l’utilizzo da parte del datore di lavoro di informazioni raccolte da un investigatore privato, è legittimo se serve a “far valere un proprio diritto in sede giudiziaria” ed è “lecito anche senza il consenso dell’interessato”.

Importante però è tenere bene a mente che il professionista dovrà svolgere gli accertamenti nel pieno rispetto delle normative vigenti e rispettando tutte le garanzie imposte dallo Statuto dei lavoratori.

Pertanto, l’indagine investigativa non potrà essere finalizzata a comprendere se il lavoratore svolge l’attività affidatagli nei tempi previsti o se “rende” abbastanza. E nemmeno potranno essere installati impianti audiovisivi al fine di controllarne a distanza l’operato. Ricordo che l’installazione, ad esempio, di telecamere di videosorveglianza all’interno dei luoghi di lavoro deve necessariamente passare da un accordo con le rappresentanze sindacali, una relazione tecnica consegnata all’Ispettorato del Lavoro e il consenso scritto da parte dei dipendenti.
Se siete interessati a saperne di più sull’argomento vi segnalo questo articolo, dove ne parliamo ampiamente.

Ciò non significa, però, che gli spostamenti dei dipendenti non possano essere monitorati al fine di provarne, ad esempio, l’infedeltà lavorativa o la mala fede. E per ottenere tale risultato non è necessario effettuare un controllo all’interno dell’azienda o accedendo in modo illecito nei pc e nelle e-mail del dipendente.

In linea di massima, il dipendente potrà essere oggetto di controllo durante l’orario lavorativo all’esterno dell’azienda in luogo pubblico o in un luogo aperto al pubblico.

Le sentenze della Corte di Cassazione che si sono succedute negli anni sono numerose, e tutte danno legittimità all’operato dell’investigatore che, nominato dal legale rappresentante dell’azienda, può operare in fase difensiva anche preventivamente.

Con la sentenza della Sezione Lavoro n. 5629 del 5 Maggio 2000, ad esempio, veniva ribadito che Il controllo del dipendente è legittimo se serve a verificare che il dipendente svolge la prestazione per cui viene retribuito. “Ma solo per le mansioni svolte all’esterno dell’ufficio”.

Pensiamo al caso di un informatore farmaceutico che svolge la sua attività lavorativa al di fuori della sede aziendale. Monitorare i suoi spostamenti, durante l’orario lavorativo, al fine di comprendere se realmente svolge l’attività affidatagli o se, al contrario, sfrutta quell’orario per svolgere attività non compatibili, è del tutto consentito.

L’investigatore privato dovrà, inoltre, fare attenzione a quali dati del dipendente andrà a trattare. Infatti, dovranno essere sempre rispettati i principi di esattezza, pertinenza e non eccedenza del dato. Pensate se, durante un’indagine, l’investigatore scopre che il dipendente non solo è infedele all’azienda ma anche alla moglie. Quest’ultimo elemento non solo non potrà essere inserito all’interno del report investigativo ma non potrà essere comunicato al committente. Se così non fosse, si andrebbe incontro ad una grave violazione della privacy del dipendente.

 

Licenziare un dipendente: in quali casi posso farlo?

Volendo riassumere, vi elenco ora, brevemente, tre casi in cui l’ausilio di un investigatore privato per ottenere le prove è stato determinante per poi procedere con un licenziamento per giusta causa:

  • Abuso dei permessi 104/92. È lecito il licenziamento del dipendente che non utilizza tali permessi per lo scopo consentito dalla legge. In particolare, è stato licenziato il signore che era solito utilizzare tali autorizzazioni per recarsi a giocare all’interno di una sala slot;
  • Abuso del permesso di malattia o infortunio. Infatti, rischia il licenziamento il dipendente che effettua attività non compatibili con quanto dichiarato come recarsi in palestra, andare a correre o svolgere attività lavorative secondarie;
  • Furto di informazioni o materiale aziendale. Allo stesso modo rischiano il licenziamento sia il dipendente che, inserendo una chiavetta sul pc aziendale preleva preventivi, lista dei clienti e dei fornitori dell’impresa, sia quello che ruba il gasolio dalle cisterne.

Ovviamente questi sono soltanto tre casi in cui il ruolo dell’investigatore è stato indispensabile per procedere poi per vie legali o cercare di risolvere la situazione in via stragiudiziale. Quello che però è certo è che se non fossero state raccolte le evidenze, non sarebbe stato possibile risolvere il problema.

Se questo articolo su come licenziare un dipendente ti è piaciuto rimani incollato al nostro blog perché presto uscirà “Licenziare un dipendente – Parte 2”!
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Articolo di Valentina Grazzi

Come aprire un’agenzia investigativa: consigli pratici

Come aprire un’agenzia investigativa: consigli pratici

Vi siete mai chiesti come si fa a diventare un investigatore privato e, soprattutto, come aprire un’agenzia investigativa?

Allora state leggendo l’articolo giusto! Da professionista del settore vi spiegherò, infatti, quali sono i requisiti di cui dovete essere in possesso e vi fornirò, sulla base della mia esperienza, qualche piccolo consiglio pratico sul come aprire un’agenzia investigativa.

Capire come aprire un’agenzia investigativa, purtroppo, non sempre è facile. Anche se la normativa vigente ha chiarito quali sono i requisiti che deve avere il titolare dell’istituto, rimangono ancora tanti i dubbi nel momento in cui si decide di aprire per proprio conto. Ma andiamo con ordine!

Come aprire un’agenzia investigativa: il titolare

Abbiamo già visto negli articoli precedenti che la professione dell’investigatore privato non si può improvvisare! Non basta, infatti, conoscere a memoria le tecniche investigative proposte da telefilm come CSI o il modus operandi di Sherlock Holmes. Nemmeno una forte passione senza lo studio attento e l’esperienza sul campo è sufficiente. Può decisamente essere, però, un buon punto di partenza.

Innanzitutto, chi vuole intraprendere questo percorso deve fare richiesta alla Prefettura territorialmente compente. Vale a dire, della provincia in cui intende aprire la propria sede. Potete andare sul sito della vostra Prefettura e cliccare sulla voce “come fare per” -> “Istituti di investigazioni privata”. Qui troverete tutti i riferimenti e, se il sito è aggiornato, la modulistica da scaricare e compilare.

Nell’articolo lavorare in un’agenzia investigativa: cosa sapere abbiamo visto quali sono i requisiti personali che deve avere colui che decide di effettuare la richiesta in Prefettura.

Rivediamoli qui brevemente:

Requisito professionale. Se volete intraprendere questo percorso la formazione è d’obbligo. In particolare, il percorso di studio deve essere specifico e, ad essere richiesta, è una laurea almeno triennale in un indirizzo come giurisprudenza, scienze dell’investigazione o psicologia.

Capacità tecnica. Non si può di certo pensare di iniziare un’attività senza saper bene cosa andremo a fare, quali sono i mezzi che possiamo utilizzare, i limiti, eccetera. Per questa ragione è richiesta un’esperienza minima nel settore di almeno tre anni. Tale esperienza dovrà essere provata in Prefettura: mentre alcune si limitano a richiedere un curriculum vitae, altre possono richiedere la presentazione delle buste paga o una lettera di referenza da parte dell’investigatore presso il quale abbiamo svolto il periodo di pratica;

Capacità di obbligarsi. Questo può sembrare un enorme scoglio in quanto, nello specifico viene richiesto un deposito cauzionale di 20 mila euro base + 5 mila euro per ogni tipologia di servizio autorizzato dalla prefettura. Considerando che gli ambiti di intervento sono sei, possiamo arrivare fino a 50 mila euro che devono essere garantiti al momento della presentazione della domanda! Non dopo! Come fare quindi? Vi sono compagnie assicurative o broker specializzati in polizze fideiussorie per le agenzie investigative.

Significa che su pagamento di un premio che può essere annuale o triennale, si impegnano a garantire, in caso di necessità quella somma. Polizze di questo tipo vengono effettuate anche dalle banche ma ve lo sconsiglio in quanto, in genere, il premio richiesto è più alto;

Partecipazioni a corsi di perfezionamento teorico-pratici. Se pensate di aprire l’agenzia investigativa e accantonare libri e corsi di formazione vi sbagliate. L’aggiornamento continuo è fondamentale, nonché richiesto dalla Prefettura sia al momento della richiesta della licenza sia annualmente per il suo mantenimento. Inoltre, ritengo sia deontologicamente corretto nei confronti del committente:

Non aver riportato condanne penali. La licenza rilasciata dalla Prefettura, in seguito ai controlli svolti dalla Polizia Amministrativa, è una licenza di Polizia. Anche per tale ragione questo è un altro requisito fondamentale.

 

Come aprire un’agenzia investigativa: cos’altro serve?

Se pensate che quelli appena visti siano gli unici requisiti di cui dovete essere in possesso vi sbagliate. Serve, infatti, anche un progetto organizzativo. Come sarà organizzata la vostra azienda? Quali saranno i mezzi che utilizzerete, le risorse in vostro possesso, i servizi che svolgerete, il loro costo e, soprattutto, quale sarà la vostra sede?

Procediamo per ordine e analizziamo punto per punto quello che occorre:

Chi sarà il titolare? Per prima cosa, soprattutto se l’idea è quella di aprire un’agenzia insieme ad altre persone, dovete individuare chi è già in possesso di tutti i requisiti di cui vi ho parlato sopra. Chi chiederà, quindi, la licenza di Prefettura;

Come sarà organizzata la vostra agenzia? Prima ancora della Prefettura è necessario rivolgersi ad un buon commercialista. Non fermatevi al primo. Chiedete consigli e prendetevi un attimo prima di decidere a chi rivolgervi. Soprattutto perché questo è un settore poco conosciuto per molti e la scelta sbagliata del professionista in questa fase può essere un grosso problema.

Piccolo consiglio pratico: la Prefettura, al momento della presentazione dei documenti, vi chiederà l’iscrizione in Camera di Commercio. Quindi l’apertura della Partita Iva. Fate attenzione perché apertura non significa attivazione. Se la attivate subito rischiate di iniziare a pagare le tasse ancora prima di iniziare a fatturare. Senza l’autorizzazione della Prefettura, infatti, non potete iniziare a lavorare. E, in genere, passano almeno due o tre mesi;

Quali servizi andrete a svolgere? Vi verrà richiesto quali sono gli ambiti di intervento in cui andrete ad operare. Vi occuperete solo di indagini private o anche di indagini aziendali o assicurative? Ricordate che, in genere, per ottenere l’autorizzazione per le indagini difensive, serve essere in possesso della licenza da almeno qualche anno quindi non vi preoccupate se non vi abiliteranno nell’immediato;

Quali sono i costi dei vostri servizi? Vi verrà richiesta una tabella delle tariffe dettagliata, al momento della richiesta, così come ogni anno. Non è semplice ma, se avete confidenza con altri professionisti, cercate di chiedere loro un consiglio in modo da non rischiare di vendere una consulenza o un servizio non a mercato;

Qual è la vostra sede? Ho scritto appositamente qual è e non quale sarà perché vi verrà richiesta la planimetria dell’ufficio. Al momento del sopralluogo della Polizia Amministrativa, inoltre, l’ufficio dovrà essere arredato e messo in sicurezza. Farete fatica a farvi dire i requisiti specifici che devono avere i locali, anche perché non esiste una normativa che indica in modo accurato le caratteristiche. Importante è che siate in grado di mantenere la sicurezza dei dati che andrete a trattare e riusciate a garantire la privacy di chi arriverà in studio per una consulenza.

Ho provato a spiegarvi come aprire un’agenzia investigativa dandovi alcuni consigli pratici basilari anche sulla base della mia esperienza. Se avete intenzione di intraprendere questo percorso, spero di esservi stata di aiuto.

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Articolo di Valentina Grazzi

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Diritto di visita

Diritto di visita

Cosa significa esattamente diritto di visita? 

Per capire in cosa consiste è necessario, innanzitutto, chiarire cosa accade con la separazione e quali sono i provvedimenti che riguardano i figli minori. Il fatto che il rapporto coniugale sia venuto meno, naturalmente, non significa che debba venir meno anche quello genitore/figli: quest’ultimo, anzi, deve essere salvaguardato ed al minore deve essere garantita la conservazione di un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

A tal fine, il nostro ordinamento pone come regola generale quella dell’affidamento condiviso, in quanto viene attribuita estrema importanza al diritto dei figli alla cosiddetta bigenitorialità. Essa è considerata lo strumento migliore per garantire ai minori una crescita serena e consente ai figli di genitori separati di mantenere un rapporto costante ed equilibrato sia con il padre che con la madre, i quali devono partecipare insieme alla cura e all’istruzione della prole.

Affidamento condiviso ed esclusivo

Per parlare di diritto di visita occorre fare una premessa. Si parla di affidamento condiviso quando entrambi i genitori esercitano la responsabilità genitoriale sul figlio minore, partecipano alla sua cura ed alla sua istruzione e prendono insieme le decisioni di maggiore interesse (ad esempio, quelle relative alla salute e alla scuola).

Il giudice, perché questo avvenga, come abbiamo visto nell’articolo precedente, deciderà chi dei due sarà il genitore collocatario (di norma la madre), e quindi dove abiterà il bambino, nonché le modalità con cui il genitore non collocatario eserciterà il proprio diritto di visita. Essendo la madre ad occuparsi solitamente della cura del bambino, soprattutto nei primissimi anni di età, in genere si predilige la collocazione del minore presso quest’ultima. 

Vi sono tuttavia casi in cui questo non è possibile. Pensiamo ad un trasferimento per ragioni lavorative della madre che costringerebbe il bambino ad allontanarsi dalle sue abitudini e dal suo stile di vita. In questo caso, i giudici devono improntare la decisione sull’affidamento e la collocazione dei figli esclusivamente l’interesse del minore: per questo non è strano che la scelta possa ricadere anche sul padre.

Se la regola è rappresentata dall’affidamento condiviso, l’eccezione è l’affidamento esclusivo. Esso viene disposto in caso esista, nei confronti di uno dei genitori, una manifesta incapacità educativa o comunque tale da rendere l’affidamento condiviso pregiudizievole e contrario all’interesse del minore.

Potrà essere richiesto, come abbiamo visto, l’affidamento esclusivo, ad esempio, nei seguenti casi:

  • Uno dei genitori ha avuto atteggiamenti violenti nei confronti dell’altro o dei figli;
  • Uno dei genitori ha gravi problemi di salute mentale che compromettono la sicurezza del figlio;
  • Esistono forti carenze di un genitore sul piano affettivo (non si provvede alla cura e all’educazione del figlio minore, non si versa l’assegno di mantenimento, ci si rende irreperibili);
  • Uno dei due genitori fa uso di sostanze stupefacenti.

Ricordiamo che l’onere della prova è a carico del genitore che avanza la richiesta dell’esclusività dell’affidamento e gli elementi probatori possono essere raccolti attraverso un’agenzia investigativa. 

Il diritto di visita

Il genitore non affidatario mantiene il suo diritto di continuare ad avere rapporti con il figlio. Così come è un diritto del minore continuare ad avere la possibilità di vedere il genitore con cui non vive stabilmente. Ecco cosa si intende per diritto di visita. Le condizioni vengono dettate all’interno della sentenza di separazione, in particolare verranno individuati i giorni, gli orari, gli eventuali periodi di tempo prolungati nei quali il genitore non affidatario può vedere il figlio minore e trascorrere tempo con lui.

Se è vero che dovrebbe prediligere la regola del buon senso nella gestione del tempo con il minore, è altrettanto vero che ci sono molteplici casi in cui senza il supporto dei legali e la pronta decisione di un giudice, al minore non sarebbe garantito il diritto alla bigenitorialità e il mantenimento del benessere e dell’equilibrio di cui necessita soprattutto nella fase delicata dello sviluppo. 

Non esercitare il diritto di visita può avere delle conseguenze?

Sembrerà strano, ma non esercitare il proprio diritto di visita potrebbe avere rilevanze penali e civili. La scelta di non prendersi cura del figlio è vista come violazione degli obblighi di assistenza familiare. Non rispettando il provvedimento del giudice e disinteressandosi del figlio minore, si viola tale obbligo. La pena è la reclusione fino ad un anno o alla multa da centotre euro a milletrentadue euro. Per la Corte di Cassazione deve rispondere di tale reato il genitore che 

  • Non si cura dell’educazione del figlio minore;
  • Si disinteressa delle sue condizioni di salute e della sua istruzione
  • Non esercita il suo diritto di visita
  • Non partecipa in nessun modo alla sua vita di relazione

Le situazioni sopra indicate potrebbero essere anche presupposto per l’applicazione dell’affidamento esclusivo.

Vi sono casi, invece, in cui è l’ex coniuge ad ostacolare il diritto di visita del genitore non affidatario. Purtroppo, molto spesso i bambini vengono “utilizzati” per vendetta e negare all’ex la possibilità di vedere il figlio è uno dei tanti esempi. Negare il diritto di vista ad uno dei genitori è punibile in quanto si viola il provvedimento del giudice. in questi casi, è sempre opportuno rivolgersi ad un professionista per comprendere se esistono i presupposti per presentare una querela. 

Vi sono casi in cui è lo stesso minore a dire espressamente al genitore di non voler essere contattato. In questi casi, bisognerà fare ancora più attenzione, soprattutto se i bambini sono molto piccoli. La sindrome di alienazione parentale è un vero e proprio disturbo causato dal comportamento di un genitore che porta i figli a dimostrare astio e rifiuto verso l’altro genitore. In sostanza, si tratterebbe di un incitamento portato avanti da uno dei genitori affinché il figlio si allontani dall’altro.

Appare, quindi, chiaro, che ogni situazione necessita di un’analisi specifica. Una separazione non va presa alla leggera in quanto, il più delle volte, a soffrirne sono i figli. È indispensabile, per il loro bene, comprendere quali sono gli elementi alla base di un eventuale rifiuto. Così come è indispensabile optare per la soluzione che consenta loro di crescere in un ambiente sano e pieno di amore. 

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Articolo di Valentina Grazzi

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SITOGRAFIA

https://www.studiocataldi.it/guide_legali/affidamento_dei_figli/il-diritto-di-visita.asp

https://www.laleggepertutti.it/272336_diritto-di-visita-del-padre-separato 

Affidamento congiunto figli: quando non è possibile

Affidamento congiunto figli: quando non è possibile

Nel corso del precedente articolo abbiamo approfondito il tema delle indagini per maltrattamenti in famiglia, continua nella lettura di questo articolo per scoprire quando non è possibile l’affidamento congiunto figli.

Gli ultimi dati Istat indicano che nel 2019 – periodo preso di riferimento al fine della ricerca statistica-, i divorzi sono stati 85.349 mentre ammontano a 97.474 le separazioni. Ormai separazioni e divorzi sono quindi all’ordine del giorno ma cosa cambia realmente quando una coppia ha figli?

Nel momento in cui marito e moglie decidono di separarsi, infatti, a dover essere considerate non sono sole le difficoltà correlate alla gestione del patrimonio. In caso la coppia abbia avuto dei figli nel corso della relazione, a dover essere tutelati sono soprattutto questi ultimi. Ecco che, in questi casi, sarà d’obbligo prendere diverse decisioni al fine di tutelare il minore continuando a garantirgli una stabilità, le cure e l’amore di cui necessita.

Vi sono casi in cui la separazione tra due persone avviene in modo del tutto consensuale altri in cui, invece, sarà il giudice a dover prendere una decisione sulla base di quelli che sono gli elementi che emergeranno in giudizio. Nella sentenza di separazione o di divorzio, infatti, come vedremo, verranno dettate le linee per gestire il figlio minore.

In genere, si tenderà sempre ad optare per l’affidamento congiunto figli. Questo permetterà al bambino di crescere continuando ad avere come punto di riferimento entrambi i genitori. Parliamo di diritto alla bigenitorialità, ovvero il diritto per il minore di «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».

Affidamento congiunto figli: quali sono gli elementi sui quali il giudice è chiamato a pronunciarsi?

Vediamo ora quali sono le questioni su cui il giudice in fase di separazione o divorzio è chiamato a pronunciarsi circa:

  • La collocazione del minore. Anche in caso di affidamento congiunto figli, con quale genitore abiterà il bambino?
  • Quando potrà vedere il figlio l’altro genitore? Ovviamente, fondamentale sarà tutelare il diritto-dovere, del genitore non convivente, di far visita al figlio periodicamente al fine di mantenere rapporti stabili, solidi e duraturi;
  • L’ammontare dell’assegno di mantenimento per i figli. A beneficiare dell’assegno potrebbero essere anche i figli maggiorenni che ancora non hanno raggiunto una stabilità economica. L’importo viene definito sulla base delle possibilità economiche del genitore non affidatario.

In caso di affidamento congiunto figli, entrambi i genitori esercitano la responsabilità genitoriale ed entrambi sono tenuti a prendere le decisioni di maggiore importanza relative all’educazione, all’istruzione, alla salute e, in generale, alla gestione del figlio minore.

Per affidamento condiviso (o congiunto), si intende quindi quella forma di affidamento del minore – in genere quella più salvaguardata – che prevede un eguale impegno, anche in termini di risorse economiche, da parte di entrambi i genitori. La gestione del figlio avviene di comune accordo.

Quindi il giudice, di norma, lascerà l’affidamento e la responsabilità genitoriale ad entrambi i genitori decidendo il collocamento del bambino presso uno dei due. Pensiamo, ad esempio, al padre che, pur non vivendo con i figli, deve essere consultato dalla madre prima di adottare le scelte di particolare rilevanza per i bambini.

Affidamento congiunto figli: è sempre possibile?

Vi sono casi in cui l’affidamento congiunto figli non è possibile. Se, ad esempio, un genitore dovesse costituire un ostacolo al rapporto tra il figlio e l’altro genitore, potrebbe perdere la collocazione e, addirittura, l’affidamento.

In casi particolari, infatti, il tribunale può optare per un affidamento esclusivo. In questo caso la responsabilità del minore resterebbe in capo ad un solo genitore. Ciò avviene anche in quei casi in cui uno dei due genitori dimostra di non avere la maturità e la responsabilità necessaria a gestire il proprio ruolo per il bene dei figli.

Premesso che, la richiesta di un affidamento di questo tipo deve basarsi su motivazioni importanti e fondate, e non per pura rivalsa nei confronti dell’ex partner, vediamo ora (come già analizzato nell’articolo “come ottenere l’affidamento esclusivo” sul blog dello Studio tenico investigativo Aenigma) quali sono i casi in cui l’affidamento esclusivo potrebbe essere concesso ad uno dei due genitori:

  • Alienazione parentale: è una forma di manipolazione psicologica, messa in atto da parte di un genitore, con lo scopo di allontanare il figlio dal padre (o dalla madre, se il manipolatore è l’uomo). Sono comportamenti reiterati, che mirano a far perdere la stima del figlio nei confronti dell’altro genitore;
  • Maltrattamenti familiari: è il caso in cui il figlio subisce vessazioni quali minacce, violenze fisiche o verbali, umiliazioni, da parte di un genitore e potrebbe comportare gravi ripercussioni psicologiche, anche a lungo termine;
  • Relazione patologica tra genitore e figlio: comportamenti possessivi e impositivi ritenuti patologici e potenzialmente dannosi per lo sviluppo del minore;
  • Fanatismo religioso: quando il genitore impone una religione in modo ossessivo, ostacolando la crescita e le relazioni sociali della prole.

Questi sono soltanto alcuni dei casi in cui il giudice potrebbe optare per un affidamento esclusivo.
È previsto che, in caso di gravi inadempienze da parte di uno dei genitori, possa essere richiesta la revisione delle disposizioni di affido dei figli. L’onere della prova è a carico del genitore che richiede laffidamento esclusivo, è tenuto a dimostrare le basi della propria richiesta. Le prove potranno essere raccolte anche attraverso un’agenzia investigativa autorizzata. Il giudice, una volta sentite le motivazioni dei genitori, deciderà immediatamente, oppure potrà procedere con la raccolta di ulteriori elementi di prova anche attraverso la nomina di consulenti tecnici di ufficio o l’incarico agli assistenti sociali.

 

Conclusioni

Agli occhi della società le separazioni e i divorzi sono ormai una cosa normale. Un aspetto con cui abbiamo imparato a convivere e che, di certo, non fa più scalpore. Molto spesso, però, non si pensa allo stato emotivo dei figli.

Se ci siamo abituati a ritenere tutto questo normale, non dovremmo però pensare che, di conseguenza, i figli si adegueranno e adatteranno con facilità alla nuova situazione.

Occupandoci di tutela dei minori, lavoriamo da tempo in collaborazione con diversi esperti al fine di essere di aiuto alle famiglie, e soprattutto ai più piccoli, in queste fasi. Ancora più delicate in caso di minori.

Bisogna imparare a dare più spazio alle emozioni! Soprattutto a quelle di chi, in situazioni di questo tipo, non ha potere decisionale!

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Articolo di Valentina Grazzi

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